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Associazione Difesa Consumatori APS
Siamo abituati a pensare che il mercato italiano sia relativamente al riparo dai prodotti OGM, ma è davvero così? In effetti il nostro paese ha sempre cercato di arginare la penetrazione di alimenti geneticamente modificati, sia con una serie di misure emergenziali a livello statale, sia con leggi regionali (adottate già da 13 regioni italiane), ma non possiamo comunque considerarci un paese OGM free, in quanto sono presenti colture OGM sperimentali nonché vengono utilizzati molti mangimi OGM negli allevamenti italiani.
Ma cosa sono davvero gli alimenti geneticamente modificati e quali sono i rischi connessi con il loro utilizzo? Cercheremo di rispondere a queste domande partendo dalla definizione di OGM, ovverosia un organismo che presenta parte del genoma modificato a seguito di interventi di ingegneria genetica.
Non sono OGM quindi gli organismi che abbiano subito una modificazione genetica spontanea o indotta con tecniche diverse dall’ingegneria genetica (ad esempio con trattamenti di radiazioni ionizzanti), ma solamente quelli che hanno subito processi di mutazione genetica con tecniche di laboratorio che comportino (a mente della definizione contenuta nella normativa comunitaria: Dir. 2001/18/CE):
– ricombinazione del materiale genetico;
– introduzione diretta di materiale genetico nell’organismo;
– fusione cellulare o altre tecniche di ibridazione indotte.
I primi esperimenti rivolti all’ottenimento di OGM risalgono al 1973 e da allora l’ingegneria genetica si è molto sviluppata portando ad una superficie coltivata OGM nel mondo a 181,5 milioni di ettari nel 2014. E in Europa? La Comunità Europea ha stabilito che, in presenza di determinate circostanze, le coltivazioni OGM possano essere ammesse, ogniqualvolta venga rispettato il cosiddetto principio di coesistenza.
In cosa consiste questo principio e dove si trova la sua legittimazione? Secondo questo principio, la coesistenza appunto tra le diverse colture (biologica, tradizionale e geneticamente modificata), deve avvenire mediate la predisposizione di piani finalizzati a tutelare sia la biodiversità dell’ambiente naturale, sia la libertà di iniziativa economica, oltre ad assicurare il diritto di scelta consapevole dei consumatori sui prodotti da acquistare.
Questa norma (contenuta nel Decreto Legislativo del 24 aprile 2001, n. 212, di attuazione delle direttive 98/95/CE e 98/96/CE) garantisce la tutela dell’ambiente, della vita e della salute di uomini, animali e piante, e assicura che la remissione in campo aperto e la vendita di un prodotto autorizzato in quanto conforme alla disciplina stessa non possono essere impedite, posto che, fino a prova contraria, tale prodotto non debba essere considerato un pericolo.
Nella Direttiva 2001/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio (recepita nel DL 224/03 italiano), sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati, viene ribadito questo concetto e si parla di “clausola di salvaguardia”: “Qualora uno Stato membro … abbia fondati motivi di ritenere che un OGM … rappresenti un rischio per la salute umana o l’ambiente, può temporaneamente limitarne o vietarne l’uso o la vendita sul proprio territorio”.
La Commissione Europea, con i Regolamenti n. 1829/2003 e 1830/2003 e, da ultimo, con la Direttiva 2015/412, ha poi completato la disciplina contenuta nella Direttiva del 2001, stabilendo regole che condizionano e rendono più rigorosa l’autorizzazione e la successiva presenza sul mercato, senza mutare il principio della libera circolazione delle merci, con misure volte ad evitare la presenza involontaria di OGM.
La normativa italiana va nella stessa direzione, da ultimo con la recente Legge del 29 luglio 2015 n. 115, che ha anche stabilito le sanzioni per la violazione dei divieti di coltivazione OGM (da 25.000 a 50.000 € oltre all’obbligo di rimuovere le coltivazioni che violano la normativa e di adottare misure riparative). La coesistenza si riferisce quindi alla possibilità per gli agricoltori di poter scegliere liberamente tra le diverse filiere di produzione, convenzionale, transgenica o biologica.
In concreto, ad oggi, l’unico alimento OGM autorizzato per la coltivazione non sperimentale in Europa è il mais Mon 810, ma l’Italia ne ha impedito la diffusione nel nostro paese con misure emergenziali rinnovate da ultimo nel gennaio 2015 (per altri 18 mesi). L’Italia rimane quindi ai margini del mercato OGM, ma anche l’Unione Europea ha invertito la tendenza e, mentre nel resto del mondo le coltivazioni transgeniche sono in aumento da 19 anni (del 4% nel 2014), in Europa le coltivazioni di mais geneticamente modificato sono scese del 3% dal 2013 al 2014.
Se da un lato le rigidità della normativa UE e il principio di coesistenza non rendono appetibili le coltivazioni OGM in Europa, le problematiche rimangono per i consumatori, ai quali deve essere offerta una reale possibilità di scelta tra cibi transgenici e non, soprattutto in prospettiva futura quando, se l’Unione Europea proseguirà in questa direzione, verranno ammesse nuove colture OGM.
Per garantire tale scelta è necessario poter contare su un sistema efficace di etichettatura e di tracciabilità perché sia il consumatore a poter decidere, tutelato dal lato della produzione dal principio di coesistenza, e dal lato della commercializzazione da una presentazione del prodotto chiara e dettagliata. Si dovesse proseguire su questa strada, ci si augura non venga mai a mancare trasparenza nei confronti dei consumatori, che dovranno sempre essere liberi di poter scegliere consapevolmente tra un prodotto OGM e uno non geneticamente modificato.
A cura di Agrilegal