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Associazione Difesa Consumatori APS
“Un’immenso oliveto, esteso per oltre un milione di ettari dalla Sicilia alle Prealpi“. Inizia con queste parole il Manifesto lanciato da Slow Food durante l’incontro pubblico: Slow Food e l’extravergine. Visioni e proposte per l’olivicoltura italiana.
In occasione del Vinitaly l’Associazione, fondata da Carlo Petrini nel 1986, ha presentato il Manifesto in difesa dell’olivicoltura congiuntamente all’anticipazione della “Guida agli extravergini 2011 – 783 aziende e 1107 olii di qualità”, Slow Food Editore (nelle librerie dal 4 maggio). Dopo il Manifesto contro la ristorazione di massa del 1987, quello contro il divieto di utilizzo del latte crudo del 1997, l’associazione no-profit, che promuove il cibo buono di qualità, ha deciso di scendere in campo per difendere l’olio di oliva italiano dalla industrializzazione massiva a sostegno dei piccoli produttori.
L’olio di oliva di qualità – ha affermato Claudio Valente, Vice Presidente della Fiera di Verona, intervenuto all’incontro per portare i saluti dell’Ente – è un prodotto da difendere più del vino, che oggi gode già di ampie tutele, anche perchè rappresenta al meglio la tradizione alimentare italiana.
La difesa di questa tradizione – ha aggiunto Gaetano Pascale, vice curatore della Guida – passa attraverso la difesa della biodiversità. Il patrimonio genetico dell’ulivo fa leva su secoli di storia e, godendo ancora di buona salute, è la miglior risorsa per i piccoli olivicoltori.
La pianta dell’ulivo non è solo produttrice di frutti, propriamente intesi, – ha sostenuto il prof. Rosario Emileo – è anche uno strumento per la farmacopea, la cosmetica, la cultura, il turismo e la difesa del territorio. Il problema è che, mentre della vite si sa tutto, non è così per l’ulivo. Pertanto si rende necessario – secondo il professore – l’approfondimento della conoscenza del Dna della pianta per capire la biodiversità e comprendere come l’organismo interagisca con l’ambiente.
La prof. Luciana Baldoni del Cnr di Perugia ha sottolineato come il 42% delle varietà mondiali di ulivo sia presente nel nostro territorio (in Spagna, il 14% e in Francia, il 7%). Pertanto – ha affermato la professoressa – la varietà locale è la principale risorsa dell’olivicoltura italiana che da sola può garantire l’eccellenza del prodotto anche nell’ottica della tracciabilità.
E’ da notare peraltro – ha aggiunto la ricercatrice – che l’80% delle piante coltivate in Italia sono affette da patologie che determinano la crescita di un frutto diverso dal normale e che per questo viene erroneamente classificato come ulteriore varietà. Non tenendo conto che si tratta, in realtà, di differenze determinate da virosi. Tali malattie comunque – ha precisato Baldoni – non compromettono la produzione di olii di eccellenza.
Il vero problema dell’olivicoltura italiana – ha voluto precisare la ricercatrice – è che non esiste a livello nazionale un progetto unico di classificazione genetico delle piante. Solo da qualche tempo con il progetto Olviva si sono raggruppate 12 Regioni che utilizzano gli stessi metodi di identificazione e gli stessi marcatori molecolari.
Le sfide del futuro – ha concluso la professoressa del Cnr – sono il recupero delle varietà minori, la valorizzazione degli olii varietali e la tracciabilità del prodotto. Proprio in merito alla tracciabilità si è dato atto che dall’olio è difficile individuare il Dna della pianta. Pertanto l’operazione di ricostruzione della provenienza del prodotto è complicata. Per contro i marcatori molecolari noti ora ci sono e sono pienamente utilizzabili per sventare le frodi (come la vendite di miscele contenenti olii di nocciolo, mais, girasole e soia) ovvero riconoscere l’identità del prodotto nostrano.
Anche per Diego Soracco, curatore della Guida, il problema dell’olivicoltura è che, nonostante produciamo ottimo olii, questi non riescono a conquistare il mercato a causa della massiccia concorrenza del prodotto di altri Paesi che fanno leva su colture intesive e il costo del lavoro minore. L’olio in vendita al supermercato – ha affermato Soracco -, ad un prezzo di circa 2 euro al litro, crea confusione. La stessa dicitura “extra vergine” non garantisce appieno la qualità del prodotto. Il nuovo concetto da diffondere è quello dell’olio di origine, ovvero del prodotto legato al territorio sinonimo ed espressione di una comunità ben identificata. E’ anche questa la finalità del Manifesto, la difesa del piccolo produttore come tutela della comunità.
E questa l’opinione anche di Roberto Burdese, presidente Slow Food Italia, che, chiudendo l’incontro, ha lanciato un appello per tutti coloro che vorranno sostenere i contenuti del documento. Il Manifesto sarà portato in 300 piazze italiane il 18 giugno. L’iniziativa non sarà semplicemente una raccolta di firme – ha affermato Burdese – ma un atto di coinvolgimento e impegno rivolto a tutti i cittadini a sostegno dell’agricoltura locale, della biodiversità e dell’artigianato di comunità.
Approfondimenti: slowfood.it; vinitaly.com