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Associazione Difesa Consumatori APS
Ormai ovunque, sono moltissimi i prodotti che espongono in etichetta le diciture “naturale”, “100% naturale” o “di origine naturale”. Secondo il dizionario italiano, l’aggettivo “naturale” è equivalente di un qualcosa “che riguarda la natura, che deriva dalla natura o che è conforme ai suoi principi, non artificiale, non alterato, genuino” e solitamente viene contrapposto a quello di “sintetico” o“artificiale”.
Allo stato attuale non esiste però alcuna normativa che stabilisca quando si possa utilizzare il termine “naturale” né che ne definisca o ne chiarisca il significato. Salvo parziali indicazioni nel regolamento UE sulle informazioni nutrizionali (Reg.1924/2006) e nel regolamento UE sugli aromi (Reg. 1334/2008), c’è quindi un vuoto legislativo al riguardo.
La base normativa europea di riferimento è l’art. 16 del Reg. UE 178/2002 relativo alla presentazione dei prodotti alimentari, ed il capo V del Reg. UE 1169/2011 che disciplina l’utilizzo delle informazioni volontarie sull’etichettatura dei prodotti alimentari. Proprio questo Regolamento stabilisce che le informazioni volontarie non devono indurre in errore il consumatore, né essere confuse o ambigue e devono essere basate su dati scientifici pertinenti, ma non forniscono indicazioni in positivo, quindi c’è da chiedersi quale sia la funzione dell’utilizzo del termine “naturale”, soprattutto in previsione di evitare inganni nel consumatore.
Dai pochi riferimenti normativi esistenti e dalla giurisprudenza comunitaria e italiana, si può sostenere che l’utilizzo del termine “naturale” dovrebbe essere riferito esclusivamente a quei prodotti alimentari che non hanno subito una trasformazione radicale della composizione originaria e che non contengono additivi chimici.
Da quanto emerge dallo studio dei casi giurisprudenziali è poi arduo sostenere la liceità dell’utilizzo della terminologia suddetta per esaltare qualità o genuinità di un prodotto in presenza di discipline relative all’utilizzo della denominazione dello stesso (DOP, DOC, certificazione biologica, …), in quanto queste, usualmente, si occupano di delimitare rigidamente la terminologia utilizzabile in etichetta.
In linea di massima, quindi, l’utilizzo delle informazioni volontarie, come quella di “prodotto naturale”, che richiamano una particolare qualità del prodotto finito o della materia prima utilizzata, può, secondo i tecnici del diritto, trovare spazio, se del caso, in tutte quelle ipotesi nelle quali la produzione dell’alimento non deve seguire un determinato disciplinare, e dunque, al di fuori delle ipotesi riguardanti la produzione biologica e la tutela della qualità dei prodotti DOP e IGP.
L’azienda che quindi impiega questi termini e che non commercializza un prodotto la cui denominazione sia disciplinata, non sarà automaticamente oggetto di sanzione se utilizza il claim “naturale” e potrà contare su un importante margine di discrezionalità da parte dell’autorità di repressione frodi nonché sulla carenza normativa in materia. Anche se il produttore che utilizza il claim “naturale” deve essere pronto a dimostrare che quanto vende è davvero “naturale”, è altrettanto vero che l’accertamento della violazione nel caso di informazioni fuorvianti è difficoltoso e aleatorio.
In questi casi, dove non c’è una normativa chiara e i produttori spesso sfruttano il vuoto normativo a loro vantaggio, è importante che il consumatore sia informato ed abbia un ruolo attivo, chiedendosi, all’atto di acquisto del prodotto, se una determinata indicazione presente in etichetta costituisca un’informazione utile o si riduca ad uno strumento di mero marketing. Tra le tante informazioni che accompagnano i prodotti commerciali quelle “naturale”, “di origine naturale”, “100% naturale” non sono certo quelle cui prestare più affidamento!
A cura di Agrilegal